26 gennaio 2012

Al crocevia

Mi sento come se stessi davanti ad uno di quei quiz per la patente in cui ti ritrovi a fissare l'immagine di un incrocio con quattro macchine, una blu, una rossa, una gialla e una verde, e non sapessi a chi spetti la precedenza. L'errore più facile, in questo momento, sarebbe quello di obiettare che, se solo avessi seguito la lezione, probabilmente non rischierei di perdere l'esame per colpa di questa intollerabile esitazione.
Ma la teoria solo in parte aiuterebbe la mia scelta, perché, nel decidere chi debba passare per primo, bisognerebbe valutare anche ragioni di convenienza e cautela, nonché questioni di impellenza. Se è vero che la precenza dovrei averla io poiché vengo da destra, chi mi dice che approfittare di questa facoltà non costiuisca, comunque, un rischio? Chi mi assicura che gli altri avranno la compiacenza di farmi passare, solo perché è un mio diritto? Paralizzata da questo dubbio, rischio di rimanere ferma all'incrocio, con una fila di auto dietro di me che premono e strombazzano e spingono, affinchè io mi muova a superare il crocevia. Se il semaforo funzionasse, anzicché accecarmi col suo insopportabile lampeggiare, potrei fare a meno di decidere, abbandonando la libertà di discernimento in favore di un più comodo obbligo imprescindibile: la luce rossa fissa vieterebbe in ogni caso il passaggio dei veicoli. Mi consentirebbe ancora qualche minuto per riflettere e valutare precedenza, velocità e direzione. Ma il semaforo a questo incrocio non c'è, per cui la valutazione è tra azzardare una manovra o restare immobile. La fila dietro di me diventa più nervosa e comincio a sudare freddo: immagino di scendere dal veicolo, lanciare un'occhiata noncurante e indispettita ai miei persecutori, vomitargli addosso qualche insulto per la pressione che mi stanno mettendo addosso ed estrarre dal portabagagli il triangolo, per segnalare che il mio cervello è in avaria. Ma faccio peggio: accosto. Piuttosto che decidere, mi dico che non ho fretta di arrivare in alcun posto.

1 commento:

  1. A volte è meglio fermarsi ad aspettare per poi ripartire.

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